trio
Matilde 03-22 - La Segantini
di Alex46
18.04.2019 |
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"E lei fa passare le corde di Michele in un moschettone fissato alla nostra sosta..."
La notte scorre via tranquilla, siamo così abituati a dormire uno accanto all’altro che anche il farlo su due materassi appoggiati sul pavimento ci diventa del tutto naturale.Non faccio a tempo ad addormentarmi che già vedo le prime luci filtrare dalla finestra. Mi giro dall’altra parte e mi riaddormento respirando sulla spalla di Michele. Poi la sua sveglia da polso fa bip bip, in concomitanza con i primi rumori che sento provenire dalla cucina. Anche il custode si dev’essere alzato.
Rimettiamo al loro posto i materassi, ripieghiamo accuratamente le coperte.
Non c’è molta possibilità di fare toilette, ma non mi sento sporca, tutt’altro. Vesto la tuta, faccio la pipi, mi pulisco con la carta igienica e con un fazzoletto umido, poi vado al tavolo dove Michele e Debra stanno già spalmando di burro le fette di pane. Anche le mie.
Che gentili che sono! Mi piace essere coccolata così.
Il custode ci saluta con grandi sorrisi, ci chiede se abbiamo dormito bene, ci dice che oggi il tempo è proprio bello, faremo una gita bellissima.
- Speriamo che oggi arrivi tanta gente – conclude.
Fuori il sole non è ancora arrivato a scaldare l’aria, è ancora dietro la montagna, ma la luce diffusa per l’intorno è meravigliosa. È così nitido che sembra di poter toccare le montagne, anche quelle distanti.
Il rito dell’imbragatura lo facciamo subito, in modo da essere pronte tra poco quando Michele ci legherà.
Salutato Vasco, cominciamo subito a salire per un sentierino che ci porta a un colletto intagliato nelle rocce, lo stesso Colle Garibaldi da cui siamo passati ieri. Qui si riapre una visuale fantastica, ci sembra di essere davvero in un mondo di sole rocce. Poi seguiamo il cosiddetto Sentiero Cecilia, con qualche su e giù fino a un altro colletto, chiamato Valsecchi. Incontriamo neve dura nel fondo dei canalini, ma si riesce a salire con facilità. Ormai ho un po’ capito come muovermi sulle peste nella neve.
Finora siamo stati silenziosi e l’occasione di scambiare due parole è qui al colle, dove ci fermiamo per legarci.
Sono molto emozionata, perché la cerimonia del nodo fa presupporre un maggiore impegno, maggiore di quello che ho dovuto sperimentare fino a qui, ieri e oggi. Con mani esperte e veloci Michele mi lega facendo un nodo sull’imbragatura, che poi stringe tirando, quasi sollevandomi di peso.
È bello vederlo mentre agisce così, sembra proprio che questo sia il suo terreno. Le sue mani si muovono agili, a poca distanza dal mio centro vitale. Sono così forti... È solo un flash, ma per un momento mi sembra di provare il classico languore, e mentre lo lascio fare gli guardo i capelli. Sento anche lo sguardo di Debra fisso su di me, allora mi volto a guardarla e al volo comprendo che non le è sfuggito il mio momentaneo turbamento.
Poi tocca a lei essere legata, così mi lascio sfuggire una battuta: - Eh, certo! Su di me te la cavi in un momento, con lei ci stai delle ore a trafficare... T’interessa il nodo o qualcosa d’altro?
- Matilde, sei sempre la solita, possibile che non riesci a pensare ad altro? – mi risponde Michele.
- No, con voi non è possibile pensare ad altro, comunque davvero mi pare che tu abbia indugiato...
- Allora, l’altro ieri sera hai chiesto di portarci i giocattolini, cosa che poi abbiamo fatto. Adesso pensi che Michele mi voglia palpare... – interviene Debra.
- A proposito di giocattolini – rilancio – dove pensate che potremo fermarci un momento?
- Ma almeno aspettiamo che arrivi il sole, poi vedremo... Pensa a salire bene, ché tra un po’ avrai altro da pensare...
Capisco d’essere un po’ fuori luogo se parlo di certe cose, forse non mi rendo bene conto che da ora servirà essere più concentrati. Difatti poco dopo Michele prega Debra di filargli la corda. Si è legato a metà di questa.
- Devo farti sicurezza?
- No, non è necessario, bada solo che scorrano bene. Vado a quell’intaglio lassù.
In effetti vedo anch’io l’unica possibilità di salita, un canale di roccia, più ripido, che porta a una spaccatura tra un torrioncino e il resto della montagna. Michele sale fluido, leggero, è uno spettacolo vederlo mentre si muove come su un prato. Dopo neppure un minuto ha raggiunto l’intaglio e ci grida di seguirlo, assieme.
Debra lascia partire me per prima, per potermi sorvegliare ed eventualmente darmi un consiglio. Ma per fortuna non ne ho bisogno, anch’io sono abbastanza a mio agio. E mi sorprendo a pensare, ancora una volta, alle mie gambe, a volte ben aperte, con Debra a poco più di un metro dal mio sedere. Ormai è chiaro: a me l’arrampicata mette voglia di fare sesso, il misto di timore e di gioia dev’essere un catalizzatore: so di essere tra Debra e Michele, mi stanno regalando dei momenti magnifici, e l’unico modo che ho per ricompensarli è quello di manifestar loro tutto il mio desiderio.
E invece devo tenermi: Debra è troppo compresa nella sua parte, il sorriso di Michele quando lo raggiungo è troppo candido. Sorrido anch’io, accoccolandomi dove lui mi indica mentre mi attacca con un’asola di corda all’assicurazione.
- Ragazzi, sono felice... è troppo bello, perché non mi avete fatto provare prima...
Dall’intaglio scopro il vuoto che ci circonda, ed è ancora più emozionante. Quando Debra si siede vicino a me, l’abbraccio fuggevolmente.
- Qui mi devi fare sicura, Debra.
E lei fa passare le corde di Michele in un moschettone fissato alla nostra sosta. Poi fa scorrere la corda piano mentre Michele sale a gambe larghe (in “spaccata”) per un tratto poi, sempre veloce, supera un tratto di parete più aperta. Lì sembra davvero difficile.
La manovra si ripete, ancora saliamo assieme, solo che ora ho delle difficoltà. Debra, sotto di me, m’indica dove mettere i piedi, come muovermi. Mi ripete alla nausea di non tirarmi mai sulle braccia, ma di spingere sulle gambe. Con il suo aiuto riesco bene, e in breve abbiamo entrambe raggiunto ancora una volta Michele, fermo in cima a un torrione davvero aereo.
Ancora altre lunghezze di corda, un po’ più facili, ci portano in cima a un torrione (il Vertice Dorn), da cui però, con mia meraviglia, dobbiamo scendere: Michele ci fa andare avanti, e quando è sicuro che siamo arrivate a un canale ci ordina di attaccarci alla sosta. Solo allora scende anche lui, pregandoci di recuperare la corda.
Poi ancora torrioni e intagli, io mi diverto sempre di più. Sto bene, non sono minimamente stanca e cinguetto felice, esternando la mia gioia senza paura di esagerare.
Ad un certo punto la scalata cambia: dobbiamo affrontare un canale innevato (la neve è durisssima). Si chiama “Lingua”, e pare che in questo punto siano accadute parecchie disgrazie. Michele si aiuta con un piccozzino che si è portato per farci delle tracce.
Dopo questo ostacolo, le cose si semplificano fino a un’ultima paretina. Qui addirittura c’è una brutta scritta, “difficile”. Michele non si lascia certo impressionare e affronta una parete con la solita calma e scioltezza.
Salire questa parete “difficile” è la porta aperta per la cima, che ormai vediamo abbastanza vicina. E dopo poco siamo tutti e tre in cammino, assieme, per quello strano scatolotto di metallo che chiamano bivacco fisso, un ricovero d’emergenza che in questo momento lascia trasparire tutta la sua inutilità, così almeno dice Michele.
Il sole generoso che illumina il panorama attorno e le montagne ancora parecchio innevate penetra con qualche raggio dentro la costruzione: ma sembra riluttante, sconfitto dall’odore di chiuso, di sporco. Qualcuno qui avrà anche dormito, qualcuno qui avrà fatto sesso. Ma è così sporco che ogni poesia viene a mancare e richiudiamo il maleodorante abitacolo con una smorfia.
A ridosso dell’esterno di metallo sembra di essere esposti a una lampada per abbronzarsi, presto sudiamo stando fermi e mangiucchiando qualcosa che ci siamo portati. Viene da chiudere gli occhi in questo stato di grazia e sotto le palpebre è tutta una sensazione rossa di calore e di luce.
Michele siede in mezzo a noi, e dopo gli schifati commenti sullo stato del bivacco, non parliamo per un po’. Debra si riscuote per prima e ci apostrofa: - Beh, se lo vogliamo fare, questo è il momento...
- Ma tu ne hai voglia? – chiedo io.
- Mi sta venendo adesso. Per tutta la salita non ci ho pensato, ma ora con questo caldo sto pensando che masturbarmi per voi e di fronte a voi sarebbe il giusto coronamento.
- Io ne ho avuto voglia per tutta la mattina, ma mi sono trattenuta. Pensavo di ringraziarvi, e il modo che mi viene in mente è quello...
- Io continuo a sentire che vi amo come le donne della mia vita: per me avervi portate quassù è come avervi portate in paradiso. Ci credete?
- Io, certo che ci credo... Michele, Debra... vi amo, sento d’essere .... vostra.
- E allora se sei nostra, faccelo vedere. Tirati su con i piedi sul gradino, abbassa i pantaloni e le mutandine e accucciati a gambe larghe – decide Debra – facci vedere la figa, amore.
La frenesia che ci sta prendendo non c’impedisce di dare un’ultima occhiata per vedere che non stia arrivando nessuno. No, siamo soli, almeno per un po’. Vediamo gente che sta salendo sul sentiero, ma per il momento sono ancora distanti.
Io obbedisco, le mutandine le abbasso lentamente, poi mi accuccio e allargo le gambe in posizione davvero oscena, date anche le circostanze. Debra ha già preso dallo zaino i due vibratori, ma esita.
- Michele, toccami la figa, con il dito in su e piano, senza entrare... voglio sentirlo assieme al sole.
Michele esegue con tenerezza, mi sfiora appena, mentre io alzo gli occhi al cielo e butto all’indietro la testa. Lo sento toccarmi con dolcezza, poi sento la sua voce: - Così, ti piace, amore? Sei felice di dimostrarci quanto ci ami? Vuoi farcelo vedere come sei capace di godere in cima a una montagna?
- Per tutta la mattina vi ho desiderato....
- E adesso che stai per godere come ti senti? – interviene Debra.
- Sono in paradiso, e ci sono con voi. Ditemi che dopo lo farete anche voi...
- Dimmi quando stai per venire – aggiunge Michele.
- Sì, amore, te lo dico... ora, te lo sto dicendo. Sei meraviglioso come mi carezzi la figa con quel dito. Debra, fallo anche tu, fai qualcosa, ti prego...
Debra in quella accende il vibratore, si abbassa i pantaloni di quanto basta e mi viene vicino in piedi: poi se lo infila con un colpo solo, ronzante.
- Guardami Matilde, guarda come me lo infilo. Guardami, non tenere gli occhi chiusi, amore.
- Siediti, Debra, che voglio toccare anche te – interviene Michele.
Lui si è inginocchiato di fronte a noi e con i due indici ora ci accarezza entrambe. Io sono al punto di non ritorno, e lo dico: - Vengo, vengo, aahh, vengo, sìììì.
E un attimo dopo vado a sfregarmi io la figa sul suo indice, sperando che entri: poi vedo l’altro vibratore appoggiato lì, lo prendo e me lo infilo fino alla radice, continuando a godere.
- Aah, godo, amori, godo... Michele, siamo due troie, vero? Di che siamo così troie che non ne hai mai visto o pensato di uguali...
- Anch’io sto venendo, Michele – quasi urla Debra – Questo cazzetto è meraviglioso e sto per esplodere!
- Questa sera vi scopo in modo tale che ve lo ricorderete per sempre. Sono eccitato come una bestia...
- Sì, tu ci scopi, ma prima Debra e io ci vogliamo leccare a morte, vero Debra? Vero che lo farai di leccarmi come una cagna? E lo farai...
- Certo, lo farò di fronte a Michele, per Michele, lo farò con tutto il mio essere...
- E verrai come stai sborrando ora, vero?
- Sìììì, sììììì, aahh!
Il ciclopico orgasmo che abbiamo montato e prolungato è dirompente per entrambe, fino a che gli spasmi vanno a calare e a cercare affetto ancora sulle dita di Michele, che non hanno mai cessato di muoversi piano.
- Le mie troie si sono calmate? Perché forse è ora che vi ricomponiate. Mi sembra di sentire delle voci...
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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